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Toxoplasmosi in gravidanza

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TOXOPLASMOSI IN GRAVIDANZA





Meno del 20% delle donne che contraggono la toxoplasmosi presenta una sintomatologia clinicamente evidente, da ciò si deduce che il sospetto diagnostico è nella maggioranz dei casi solamente sierologico.

La diagnosi sierologica di toxoplasmosi acuta può essere eseguita con molti test, ma solo pochi forniscono un concreto ausilio clinico.

Per una corretta interpretazione degli esami sierologici è indispensabile conoscere la cronologia della risposta anticorpale che inizia con la comparsa, a partire dalla 2^ settimana dal contagio, degli anticorpi IgM che aumentano a titoli massimi alla 3^ / 5^ settimana dal contagio per ridursi poi fino a scomparire al 4° / 5° mese ( possono tuttavia persistera anche fino ad un anno ).

Gli anticorpi di tipo IgA compaiono 2 settimane dopo l'infezione e si mantengono per un periodo di 3/7 mesi, le IgG raggiungono i massimi livelli intorno al 2° / 3° mese, per poi ridursi gradualmente e persistere per tutta la vita.

Il test Sabin-Feldman ( conosciuto anche come dye-test ), considerato il test di riferimento, è un test di neutralizzazione che rivela la presenza di anticorpi di tipo IgG diretti contro T. gondii.

Con questo metodo i titoli di IgG risultano positivi ( >1:4 ) da 2 settimane dopo l'infezione, raggiungono il picco in 4-8 settimane ( >1:1000 - 1:64.000 ), per poi ridursi in maniera lenta e progressiva nei mesi successivi fino ai valori che rimarranno pi per tutta la vita ( 1:16 - 1:256 ).

Nel sospetto ( o certezza ) di toxoplasmosi acuta materna, la diagnosi di infezione congenita deve essere ricercata per le gravi conseguenze fetali che può portare in circa un terzo dei nati nelle donne immunocompetenti.

Se l'infezione è stata acquisita dalla donna almeno 6 mesi prima del concepimento, non vi sono rischi, mentre la probabilità di trasmissione aumenta con la riduzione dell'intervallo di tempo tra l'infezione acuta ed il concepimento. la probabilità di trasmettere l'infezione in corso di gravidanza nel primo trimestre è bassa ( 15% ) ed è generalmente associata ad un aborto causato dal passaggio transplacentare dei trofozoiti tramite microlesioni placentari o a partenza da focolai di placentite toxoplasmica.

Nel terzo trimestre il rischio di trasmissione è del 65% circa; infatti tanto più la gravidanza è avanzata tanto più risulta facile il passaggio della barriera placentare da parte del protozoo che però tende a causare danni fetali meno gravi.

L'infezione fetale èpuò quindi essere dimostrata tramite l'identificazione del gene B1 di T. gondii nel liquido amniotico mediante PCR a partire dalla 18^ settimana di gestazione e con la ricerca ecografica dei segni di danno fetale.

La prova definitiva di infezione fetale si basa sull'isolamento nel protozoo nel topo dopo inoculazione di tessuto placentare, di sangue fetale o di sangue e di liquor del neonato.

La terapia dell'infezione acuta nella donna gravida prevede l'uso di pirimetamina e sulfadiazina in associazione all'acido folico nel secondo e terzo trimestre.

Nelle prime 16 settimane viene utilizzata la spiramicina a causa del rischio di teratogenicità da pirimetamina.

Occorre purtroppo segnalare che nessun regime terapeutico è in grado di evitare, con certezza, l'infezione fetale.



 

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